CORDONE OMBELICALE, UNA PREZIOSA RISORSA DI CELLULE STAMINALI
Le staminali raccolte nel sangue cordonale possono curare varie malattie. Ma ancora pochi i donatori
Le
cellule staminali sono cellule primitive non specializzate dotate della
peculiare capacità di trasformarsi in differenti altri tipi di cellule
del corpo. Il sangue del cordone ombelicale o sangue placentare è una
fonte di cellule staminali e pertanto rappresenta una valida alternativa
al prelievo di cellule da midollo osseo o al sangue venoso periferico
dopo stimolazione con fattore di crescita per il trapianto proveniente
da altre persone (allogenico). Il trapianto allogenico consiste in un
infusione endovenosa di cellule staminali ematopoietiche (in grado di
formare cioè cellule del sangue) da un donatore verso un paziente
precedentemente sottoposto a un ciclo di radio/chemioterapia a scopo
immunodepressivo/mieloablativo (terapia in grado di distruggere
irreversibilmente le cellule midollari del ricevente, che diventa così
“pronto” per accogliere le cellule dello stesso tipo ma da un donatore).
Con il termine “cellule staminali emopoietiche” (CSE) si identifica un
gruppo di cellule immature in grado di riprodursi e differenziarsi, per
dare origine a globuli rossi, globuli bianchi e piastrine.
La definizione di cellule staminali emopoietiche. Dalla
definizione della Commissione di Studio sull’utilizzo di cellule
staminali emopoietiche per finalità terapeutiche, presieduta dal Prof.
Renato Dulbecco, premio Nobel per la medicina, si evince che “le
cellule staminali emopoietiche sono cellule non specializzate in grado
di dividersi dando origine contemporaneamente ad una cellula staminale
uguale alla cellula madre e ad una cellula precursore di una progenie
cellulare che alla fine darà a sua volta origine a cellule del sangue
differenziate in modo terminale o mature: globuli rossi, globuli bianchi
e piastrine. Il precursore è una sostanza da cui ne viene prodotta
un'altra, più attiva o più matura. Si definiscono totipotenti le cellule
staminali che possono dar luogo a tutti i tessuti, multi (o pluri)
potenti quelle che possono dar luogo ad alcuni tipi di cellule o tessuti
ed unipotenti quelle che possono dar luogo soltanto ad un tipo
cellulare”. Il forte interesse suscitato da questa popolazione
cellulare ha portato all’identificazione di cellule staminali
emopoietiche, oltre che nel midollo osseo, anche nel sangue periferico
(benché in percentuale notevolmente più bassa) ed infine nel sangue
placentare.
Dalla teoria alla pratica: gli utilizzi terapeutici. L’espandersi
delle conoscenze di biologia della cellule staminali emopoietiche e
degli eventi che ne condizionano la funzione (automantenimento,
proliferazione, differenziazione, apoptosi) e l’identificazione di
fattori di crescita utilizzabili in campo clinico ha consentito, nel
tempo, di sviluppare strategie terapeutiche basate sull’uso di CSE a
scopo di trapianto. Il trapianto di CSE è una procedura terapeutica
entrata ormai nella pratica clinica per il trattamento di numerose
patologie neoplastiche (leucemie, linfomi, mielomi e tumori solidi) e
non. A questo proposito, basti pensare che l’utilizzo di CSE mobilizzate
dal sangue periferico rappresenta ormai lo standard in ambito
trapiantologico per la capacità che queste hanno di ricostituire
l’emopoiesi dopo terapia mieloablativa.
L'alternativa del sangue della placenta. Interessante
in questo senso il ruolo del sangue placentare che rappresenta
attualmente una valida fonte alternativa di cellule staminali
emopoietiche da utilizzare per il trapianto. Il numero dei trapianti
aumenta ogni anno sia per l’incremento dei team attivi, sia per
l’allargamento delle indicazioni a pazienti anziani e a nuove patologie.
Tuttavia a fronte dell’aumento della richiesta di trapianti non vi è un
corrispondente incremento della disponibilità di donatori
convenzionali. Un paziente con indicazione al trapianto ha una
probabilità del 50% di identificare un donatore compatibile (in ambito
familiare o nei Registri Internazionali di donatori volontari di midollo
osseo) con un tempo medio di circa 4-6 mesi. Il lungo intervallo che
intercorre tra la richiesta di un donatore e l’identificazione è spesso
incompatibile con il decorso della patologia che può condurre a morte il
paziente prima del trapianto. Inoltre, questa ricerca ha costi elevati
ed è gravata dal rischio di rinuncia finale del donatore volontaria o
forzata. Queste condizioni hanno reso sempre più pressante l’esigenza di
individuare fonti alternative ai donatori.
Un po' di storia. La
sensazionale scoperta, avvenuta nel 1974 ad opera di Knudtzon, che nel
sangue placentare fossero presenti cellule staminali emopoietiche ne ha
mutato definitivamente il destino da materiale di scarto, destinato
all’inceneritore, a materiale “prezioso” utilizzabile per il trapianto.
Il primo trapianto di cellule staminali emopoietiche di sangue
placentare, realizzato con successo in Francia nel 1988 dalla prof.ssa
Eliane Gluckman è stato eseguito in un bambino di nove anni affetto da
Anemia di Fanconi. Nel 1991 venne eseguito il trapianto di cellule
staminali emopoietiche di sangue placentare per la prima volta su un
bambino affetto da leucemia mieloide cronica. Entrambi i trapianti
ebbero successo e contribuirono ad alimentare il grosso interesse che si
era ormai generato intorno al sangue placentare.
Scritto per www.vitacchenasce.org "Settimanale on line di salute e benessere della coppia"
Commenti